Cosa trovo in questo blog?

Questo blog conterrà i racconti che estraggo man mano dal mio cervello marcio, alcuni saranno brevi, altri più lunghi. Altre volte pubblicherò dei capitoli di un racconto che sto scrivendo. Spero che quei pochi che avranno la pazienza di leggerli, li trovino piacevoli o almeno una buona distrazione per far passare il tempo. Gli argomenti trattati spazieranno tra l'horror e l'avventura ed in molti casi saranno abbastanza cruenti, quindi ne sconsiglio la lettura a chi troppo sensibile od impressionabile o comunque i bambini sono avvisati. Buona lettura.

venerdì 4 maggio 2007

ALBA DI METALLO - CAP. 2

Una leggera foschia avvolgeva tutto quanto in quella mattina fredda d’inverno, Simone Cappelletti si muoveva circospetto nella boscaglia, fucile in mano e Pluto, il suo fedele cane da caccia al fianco. A distanza di pochi metri alla sua destra poteva vedere Silvio Cometti, alla sua sinistra Antonio Radaelli. I tre si muovevano con cautela lungo un percorso ed un bosco che non riconoscevano più. Simone era certo che si erano persi, anche se non riusciva a capire come la cosa potesse esser successa.

Erano quattro anni che si recavano in Serbia per andare a caccia di cervi, sempre nello stesso bosco, sempre allo stesso capanno da caccia. Conoscevano il sentiero per e dal capanno a memoria, eppure ora non riconoscevano più nulla, non erano sul percorso, per quanto la bussola segnasse la giusta direzione. Erano in cammino da un’ora e un quarto e non avevano incontrato nessuno dei cartelli in legno indicante la cittadina più vicina, indicazioni delle quali il bosco era disseminato sino a tre giorni prima.

La sera del giorno prima era successo qualcosa di strano, una specie di terremoto, il cielo si era tinto di viola ed era stato attraversato da lampi di luce inquietanti; un vento devastante aveva squassato il bosco, sradicando un paio di alberi, uno dei quali si era abbattuto sul capanno, fortunatamente senza conseguenze gravi. Si erano arrabattati alla bel e meglio per la notte e poi, alle prime luci dell’alba, si erano incamminati per rientrare nel mondo civilizzato e scoprire cosa fosse successo. L’impresa si era rivelata più ardua del previsto, il sentiero che tanto chiaro era nelle loro menti, si era presto perduto nei meandri di un bosco che appariva molto più intricato ed oscuro di quanto ricordassero e ben presto avevano capito di essersi persi.

Pluto era parecchio inquieto, Simone lo capiva benissimo, si sentiva nello stesso modo. In un paio d’occasioni aveva sentito chiaramente l’ululato di lupi in lontananza, una cosa strana, era certo che il lupo europeo fosse ormai estinto, se non per degli sparuti esemplari sull’appennino italiano, e nell’estremo Est europeo. Antonio diceva che probabilmente era un branco di cani inselvatichiti, una notizia che comunque non fece passare l’inquietudine di Simone.

- Maledizione! E’ un’ora e mezza che camminiamo in direzione Ovest, dovremmo esser già alla periferia di Borgo Nimiz da quaranta minuti! Insomma non si può sbagliare! Trentacinque, quaranta minuti in linea retta verso Ovest, seguendo il sentiero. E’ una strada dritta per Dio!

Silvio era alquanto nervoso, lo erano tutti e tre, lui aveva solo espresso a parole quello che loro avevano solo pensato sino a quel momento.

-Dobbiamo mantenere la calma. Silvio, Antonio, dobbiamo ammetterlo... ci siamo persi!

-Non è possibile Simone, è una scampagnata! C’è solo da seguire il sentiero! Si snoda verso Ovest dritto come una freccia!

-Eppure ci siamo persi, ammettiamolo! Non abbiamo idea di dove ci troviamo, nonostante proseguendo in questa direzione avremmo dovuto comunque incontrare la tangenziale.

-Hai ragione... la tangenziale.

La tangenziale a cui si riferivano tagliava il bosco esattamente a metà, era impossibile non incontrarla dirigendosi verso Ovest. Simone guardò per l’ennesima volta la sua bussola e di nuovo essa gli restituì la stessa informazione: procedevano verso Ovest da un’ora e mezza.

Un rumore tra i cespugli innanzi a loro li fece trasalire. Prepararono i fucili. Pluto iniziò a ringhiare nella direzione dei fruscii, il pelo si fece irto mentre assumeva la posizione pronta a scattare di un animale che si sente minacciato.

Doveva essere un cinghiale, ve n’erano molti da quelle parti. I tre uomini erano pronti a quell’eventualità. Quando un piccolo essere dalla pelle marrone, non più alto di cinquanta centimetri, con un grosso naso bitorzoluto e flosce orecchie cadenti ai lati di una piatta testa priva di capelli, emerse dal cespuglio, i tre uomini restarono sbalorditi ed increduli, indecisi se restare all’erta o scoppiare a ridere.

L’esserino, che indossava un gonnellino costituito da due pezze sporche, una anteriore e una posteriore, legate tra di loro da spago, o qualcosa del genere, ed appariva alquanto sudicio, rimase per un attimo impietrito alla vista dei tre uomini, poi improvvisamente, squittendo come un ratto, si mise a scappare di gran lena nella direzione da cui era giunto. Pluto, senza aspettare un ordine del padrone, si gettò all’inseguimento, sparendo immediatamente dalla vista. Questa improvvisa azione ridestò Simone, Antonio e Silvio dal loro stupore e subito imitarono il cane inoltrandosi tra i cespugli.

Non pensarono nemmeno per un istante alla possibilità che l’inseguimento li avrebbe, con ogni probabilità, portati ancor più fuori strada rispetto alla già difficile situazione in cui si trovavano.

Trascorso qualche istante si sentì il forte abbaiare di Pluto, poi un guaito e nulla più. Simone si allarmò immediatamente, il suo cane era stato ferito, accelerò il passo e sbucò in una radura, seguito dopo pochi passi da Antonio e Silvio. Le sorprese della giornata non sembravano essere finite: si trovarono innanzi agli occhi un piccolo accampamento con strane tende di pelli d’animale, tra le tende si rincorrevano altri esseri come il nasone di prima ma la loro attenzione fu attratta dall’enorme umanoide al limitare dell’accampamento. Era un essere enorme, alto molto più di due metri, con due spalle possenti, incredibilmente sproporzionato: la testa era troppo piccola, le braccia, muscolose e dall’aria potenti, troppo lunghe, le gambe troppo corte e la pelle era di un verde scuro che faceva pensare a qualcosa di marcio. L’essere aveva delle zanne, che gli uscivano da quella che doveva essere la sua bocca, paragonabili q quelle di un cinghiale ed occhi di un rosso lucente. Simone pensò di esser capitato sul set di qualche film di Hollywood, ma la bava che usciva dalla bocca di quel coso, il sangue del suo cane, morto a terra che colava dalla grossa mazza chiodata che teneva in mano, gli dissero immediatamente che qualcosa non quadrava.

Un campanello d’allarme atavico risuonò nella testa dei tre uomini. Il primo a sparare fu Simone. I pallettoni del suo Beretta semiautomatico cozzarono sull’armatura rappezzata in metallo e cuoio del mostro sorprendendolo per un attimo. Il secondo colpo raggiunse il grugno del “pelle verde”, i pallettoni roventi ne scalfirono la pelle senza penetrarla e lo ferirono ad un occhio. Grosso errore.

L’ira dell’orco fu irrefrenabile. Un bagliore rosso, demoniaco, gli uscì dall’occhio sano. Simile ad una locomotiva in corsa si scagliò verso Simone. La sua mazza balenò con una velocità alla quale un uomo non sarebbe mai stato in grado di muoverla, frantumò entrambe le braccia di Simone che ancora reggeva il fucile. L’uomo non soffrì a lungo, perché il secondo colpo lo prese in pieno viso e sfondandoglielo, lo uccise sul colpo. Silvio ed Antonio fecero fuoco increduli ma non ebbero ugualmente fortuna. L’orco sembrò avvertire i colpi come fosse stato punto da uno sciame di api fastidiose, sfondò il torace di Antonio con un poderoso colpo di mazza e finì Silvio colpendolo alle spalle più e più volte mentre cercava di fuggire. Quando la sua ira si placò, a terra c’erano due cadaveri ed una poltiglia irriconoscibile.

martedì 10 aprile 2007

ALBA DI METALLO - CAP. 1

-Pendici dell’Everest, Campo Base Internazionale-

-Il tetto del mondo! Non è una vista che toglie il fiato?

Tom Everwood non vorrebbe essere in nessun altro luogo, per lui è la realizzazione di un sogno. La pensa diversamente il suo amico Sam Barwell.

-Non è solo il panorama che toglie il fiato, Tom. Mi sto gelando ogni appendice del corpo, zone che non pensavo nemmeno potessero congelarsi.

Accompagnare Tom nella sua escursione sull’Everest era sembrato divertente per un po’, almeno finché Sam non si era ritrovato veramente in viaggio grazie alla vincita alla lotteria del suo amico d’infanzia.

-Sei diventato davvero lamentoso, insomma Sam, quando ti sarebbe capitata un’occasione del genere? Sei nato a Sprinfield e ci saresti vissuto e morto senza vedere nient’altro che quella cittadina! Sei nel mondo Sam! E dopo l’escursione di domani potrai dire di aver vissuto, potrai raccontare di esser stato sull’Everest!

Tom Everwood era nato a Springfield, USA, trentadue anni prima da una modesta famiglia di provincia, era diventato operaio nella stessa fabbrica metalmeccanica del padre ed aveva sempre coltivato l’hobby della scalata con alcuni amici d’infanzia: Samuel Barwell e Nicolas Fannucci. Il suo sogno era sempre stato quello di scalare l’Everest; non si aspettava certo di poter arrivare alla vetta, sapeva di non aver la preparazione per farlo, poi un giorno aveva avuto la svolta della vita, aveva vinto alla lotteria nazionale ed ora era milionario. La prima cosa che aveva fatto, ormai quattordici mesi fa, era stato organizzare un’escursione sull’Everest, un’arrampicata tra il campo base sino al campo intermedio che veniva allestito solamente durante il periodo estivo. Per la sua “scampagnata” naturalmente aveva voluto i suoi compagni d’escursione della domenica, Sam e Nic. I due avevano accettato con entusiasmo, probabilmente convinti che tutto sarebbe naufragato nella burrasca della nuova vita di Tom. Così non era stato ed ora si trovavano alle pendici del Tetto del Mondo. Nic era ancora entusiasta, come Tom ma l’entusiasmo di Sam invece si era spento velocemente, proprio non sopportava il freddo di quella regione e la sua adesione alle arrampicate domenicali era sempre stato una specie di ripiego, un modo per non restare a casa con la moglie.

-Non sono lamentoso! Ho solo freddo!

-Bhè! Tanto è tardi e domattina si parte per il campo intermedio, meglio andare in tenda a dormire. Così ti scaldi.

-Si, meglio andare in tenda!

I due si salutarono e Sam scomparve immediatamente nella sua tenda, sottolineando i suoi passi con un mormorio sommesso ma incessante. Tom fece invece un giro largo, salutando tutti quelli che incontrava, tutti professionisti, tutta gente che della montagna aveva fatto la sua vita. Tom li conosceva tutti per fama, li ammirava tutti quanti. Arrivò alla tenda medica ed entrò, fece un cenno all’infermiere indiano che dopo aver risposto al saluto, s’immerse di nuovo nel suo cruciverba. Tom faceva visita a Nicolas, l’amico si era ammalato poco dopo esser giunti al campo base, semplice influenza ma abbastanza da impedirgli di compiere l’escursione. Nic non lo dava a vedere ma era furente: arrivare a due passi dall’inizio dell’avventura e dover rinunciare. Ciò che lo faceva imbestialire di più era il fatto che Sam, a differenza sua, stava benissimo e nemmeno voleva trovarsi li.

-Come stai questa sera? Qualche miglioramento?

-Si, va benissimo, ho solo perso l’occasione della mia vita! La solita botta di culo!

A Tom dispiaceva enormemente per l’amico.

-Lo rifaremo l’anno prossimo e ci verremo solo io e te. Magari due bionde svedesi!

Tom fece l’occhiolino all’amico.

-Guarda che ci conto!

-Nic, ora ho abbastanza soldi per venirci tutte le estati per i prossimi trent’anni, se ti dico che ci torniamo l’anno prossimo ci puoi contare!

I due restarono a chiacchierare per un’altra mezzora poi si salutarono e Tom si diresse alla sua tenda. Si era già fatto buio ma non era tardi. Alcuni degli escursionisti erano riuniti attorno ad un grosso falò, ove intonavano canzoni evergreen. Tom si stese nella tenda, troppo eccitato per dormire ma conscio che doveva riposare, avrebbe dovuto essere in forze per la mattinata. Si era coricato da quasi un’ora, si stava addormentando, quando successe una cosa stranissima: Tom ebbe un tuffo al cuore, ebbe per un attimo la sensazione di cadere e poi senti di essersi spostato verso destra di una ventina di centimetri. La cosa strana era che sembrava che tutta la tenda e il terreno sotto di essa avesse fatto il movimento con lui. Tom Everwood aveva la nausea, riuscì in qualche modo ad aprire la tenda prima di vomitare. Ripresosi vide che tutto il Campo Base era nelle sue stesse condizioni, qualcuno, Sam in testa, non era stato abbastanza veloce ad aprire la tenda ed ora si sentivano bestemmie in quattro lingue differenti rincorrersi lungo l’accampamento. Ciò che nessuno sospettava era che la medesima sensazione era stata avvertita su tutto il pianeta.

Si alzò un vento improvviso e il cielo si tinse di un violaceo minaccioso solcato da bagliori argentei. Il vento divenne forte e cambiava direzione repentinamente, la sensazione era quella che qualcuno ti strattonasse e spingesse in varie direzioni, molti rovinavano a terra impotenti. Le urla vennero sopraffatte da un rombo sordo. Tutti si trovarono a perdere l’equilibrio in quanto la terra sotto di loro si mise a salire verso l’alto. La sensazione fu quella di trovarsi su di un’enorme padella che dava colpi verso l’alto come per rovesciare una frittata. Tutto sembrò durare per ore, in realtà fu solo una mezzora.

All’alba, gli occupanti del Campo Base dell’Everest poterono constatare che vi erano state numerose frane, una delle quali li aveva sfiorati di una ventina di metri. Constatarono anche che gran parte del paesaggio era cambiato e le vette che li circondavano apparivano più alte e minacciose. L’aria era più rarefatta, tutti se ne accorsero, sembrava fossero saliti di almeno cinquecento metri sul livello del mare ma non ci fu modo di accertare quest’eventualità in quanto nessuna apparecchiatura elettronica del Campo base, compresi i rilevatori GPS, davano segni di vita. Nessun computer, nessuna radio o telefono satellitare, nulla di elettronico funzionava più, nemmeno le batterie segnalavano la carica. L’elicottero militare del campo era inservibile. Fortunatamente i gruppi elettrogeni a benzina continuarono a riscaldare la tenda comune e l’infermeria.

-Ascoltatemi tutti!

Il Colonnello Singh Gill Kalni dell’esercito indiano era a capo del Campo base.

-Qualsiasi cosa sia successa deve aver compromesso le comunicazioni in tutta la zona. Deve esserci stata una serie di terremoti devastanti in tutta l’Asia, probabilmente siamo vivi per miracolo. Suggerisco di lasciare il Campo Base e tornare a valle dove potremo chiedere aiuto per i feriti.

Il Colonnello era visibilmente preoccupato, aveva sicuramente una famiglia a cui tornare.

Varie teorie serpeggiarono per il Campo Base, qualcuno diceva che doveva esserci stato qualche esperimento nucleare segreto in India o in Pakistan o magari in Cina, qualcosa era andato storto sicuramente, per questo le apparecchiature elettroniche non funzionavano più. Altri dicevano che forse era un cataclisma naturale rarissimo.

Tom si preparava a scendere a valle, non pensava più al sogno della sua vita, voleva solo uscire da quella situazione. Sentì ancora di più il peso della malattia di Nicolas, non voleva abbandonare l’amico ma sapeva che poteva aggravarsi ed allora era meglio tornare con un elicottero a prenderlo e riportarlo alla civiltà. Sam Barwell, dal canto suo, aveva smesso di lamentarsi, sentiva di esser stato un gran fortunato a sopravvivere e più d’ogni altra cosa voleva lasciare quel posto e tornare alla sua insignificante vita a Springfield.

La Metà degli escursionisti del Campo Base partirono per la discesa, tra di loro Tom e Sam. Scesi per un centinaio di metri dal campo base si trovarono in uno strano avvallamento. Gli Sherpa non riconoscevano la zona, non conoscevano il paesaggio attorno a loro. L’avvallamento era quasi totalmente sgombro dalla neve, come se fosse naturalmente protetto dai venti. Al centro dell’avvallamento, contro le pendici della montagna si apriva l’antro di una caverna di grosse dimensioni. Tom sentì le guide parlare in uno stentato inglese e farfugliare che quell’avvallamento non c’era mai stato, doveva essersi creato a seguito del cataclisma. Tom si guardò attorno ma non vide traccia di frane, o spaccature, quella grotta sembrava esser li da quando esisteva il mondo.

-Ma insomma Tom, che stiamo aspettando? Perché non si prosegue?

Sam s’inciampò su una sporgenza, cadendo dietro ad una piccola cunetta. Tutti si voltarono nella sua direzione. Tom salì sulla cunetta per soccorrere l’amico imprecante e si accorse su cosa era caduto.

-Sam! Sei finito su di uno scheletro d’animale!

-Ma di che diavolo stai parlando?

Sam si guardò attorno constatando di esser circondato da ossa bianche di un qualche animale, alcune delle quali si erano sgretolate sotto di lui.

-Accidenti! Sembrano molto vecchie, si sgretolano facilmente tra le dita.

Gli altri membri del gruppo accorsero, Adolf Kramer, a capo della squadra di discesa, parlò con un marcato accento tedesco.

-Dovete stare più attenti! Accidenti, sono ossa quelle?

-Guardate! Ce ne sono altre laggiù!

-Ce ne sono disseminate ovunque!

Ormai un po’ tutti avevano individuato resti d’ossa animali, avanzando verso la grotta si trovarono innanzi ad i resti dello scheletro di un grosso mammifero: tutti pensarono immediatamente e all’unisono alla parola Mammuth. In realtà non vi era tutto lo scheletro ma solo parte del tronco anteriore dell’animale e mezzo cranio ma tutti avevano immediatamente capito che animale fosse, le lunghe zanne ricurve erano inconfondibili.

Kramer cominciò a sottolineare che era una scoperta incredibile e bisognava immediatamente picchettare la zona per le escursioni scientifiche successive e cominciò a discutere animosamente con i capi delle altre squadre che si erano unite alla sua riguardo la paternità della scoperta.

A Tom quelle questioni non interessavano, pensava che probabilmente il viaggio sino all’Everest non era stato totalmente inutile, dopotutto aveva contribuito alla scoperta di quel reperto preistorico ed avrebbe fatto parte del gruppo immortalato da una bella fotografia ricordo. Gli passarono per la testa un paio d’idee, sovvenzionare la successiva spedizione scientifica e quindi restare al corrente di tutte le scoperte in merito. Tom si avviò in direzione dell’enorme volta della caverna, il cui interno era in ombra e quindi si perdeva rapidamente nell’oscurità.

-Accidenti, è davvero enorme! Sembra improbabile che sia stata nascosta dalla neve sino alla notte scorsa. Senza contare che: dove diavolo è finita la neve che l’ostruiva?

Le urla dei capi squadra si stavano facendo fastidiose e il tono sempre più alto. Sam Barwell ne aveva davvero piene le scatole di quella vacanza e di quelle inutili chiacchiere, si voltò dall’imboccatura della grotta e urlò in direzione dei litiganti.

-MA LA VOLETE PIANTARE?!

Tutti si zittirono all’unisono, non per il rimprovero di Sam ma per un cupo e minaccioso brontolio che fuoriuscì dall’antro alle sue spalle e che impietrì anche lui.

Samuel Barwell non seppe mai cosa lo uccise, morì d’improvviso, il dolore sconfinò immediatamente nella morte quando un enorme drago che sembrava fatto di ghiaccio sbucò dalle sue spalle inghiottendolo immediatamente. I visi di tutti i presenti erano occupati da un misto di stupore e terrore. Il drago era gigantesco, sembrava esser fatto di diamante e ghiaccio e si reggeva su quattro zampe artigliate. Si getto con un ruggito sul gruppo di escursionisti e nel farlo calpestò uccidendolo un atterrito e sotto shock Tom Everwood. Divorò a manciate i componenti del gruppo e poi vedendone scappare una parte, prese fiato e scaricò dalla bocca un’esalazione che sembrò fatta di bufera. Tutto ciò che fu investito da quell’esalazione ghiacciò all’istante, compresi tutti i fuggitivi. Il Drago, rabbioso per esser stato disturbato nella sua tana, individuò il campo base un centinaio di metri sopra il suo avvallamento. Spiegò le sue ali che parevano di vetro e cavalcando le correnti fredde salì a cancellare per sempre quell’invasione del suo territorio.

venerdì 6 aprile 2007

L’ABBRACCIO

Era rimasta a bocca aperta… ancora non credeva a cosa c’era scritto nella finestrella del suo programma d’Istant Messagging… una piccola e semplice frase, ma nella sua semplicità era una porta aperta su un nuovo mondo.
Doveva rileggerla:
-“Runos: vuoi davvero che c’incontriamo? Non è un problema. Posso essere a San Marino domani sera…".
Le sue mani corsero istintivamente alla tastiera, una delle dita verso la “S”, ma poi esitò…
Trovò le parole che credeva più adatte: -“Chantrea: la cosa mi spaventa un po’… e se poi tutta la magia finisce? Insomma, io sono una strega, credo nell’occulto e nel sovrannaturale, ma non è certo come nei film. Potremmo rimanere delusi l’uno dell’altro, la realtà potrebbe non reggere il confronto con la fantasia”.
Cosa le avrebbe risposto? Chantrea rimase sulle spine nell’attesa.
La famigliare esclamazione di ICQ annunciò l’arrivo di una risposta, riportandola alla realtà.
-“Runos: non credo che resterò mai deluso da te! J
Mi sei troppo simpatica… Allora? Vuoi far entrare un po’ di oscurità nella tua vita? Piazza principale di San Marino al tramonto?".
Chantrea non esitò ulteriormente: -“Chantrea: Si…".

Questo accadeva 24 ore fa… ora Chantrea è seduta su una panchina, sotto il monumento della piazza, ma potrebbe avere il sedere su un cespuglio di rovi per quanto è agitata. Si è messa un vestito nero, come piace a lei, il suo collare borchiato e l’adorato pentacolo al collo, dei sobri orecchini, scarpe comode e una borsetta piccola. Spera di non aver esagerato col trucco.
Nella piazza ci sono poche altre persone: un paio di famiglie di turisti, qualche viandante; il grosso dei frequentatori a quell’ora sta cenando a casa o in qualche ristorante.
Il sole è calato 30 minuti prima, il cielo si sta scurendo rapidamente, i lampioni della piazza cominciano ad accendersi in quel momento.
-“Uffa! Ma quanto ci tieni?!” l’ansia la sta uccidendo.
Ma ecco… c’è un cambiamento… un piccolo brivido le percorre la schiena e le viene la pelle d’oca per un breve istante. E’ una strega, e come tale ha uno spiccato senso del magico e del sovrannaturale; Runos non è lontano.
Si guarda attorno speranzosa, ma non nota nessuno in particolare.
-“Ma dove sei?".
Si drizza in piedi per meglio spaziare con la vista, ed ecco che nota due persone che salgono la strada che dal basso porta nella piazza. Nota che uno dei due, il più alto, guarda nella sua direzione, poi sembra dire qualcosa all’altro che si congeda da lui, tornandosene da dove era venuto.
L’uomo riporta l’attenzione verso di lei, li separano un centinaio di metri e Chantrea lo studia, mentre lui fa altrettanto mentre le si fa incontro passeggiando con calma. Sembra diverso, non può essere lui… non assomiglia moltissimo alle foto che le ha mandato. Lui indossa un completo nero leggiero, con un cappotto a falde larghe, porta un paio di occhialetti scuri, tondi ma leggermente ovalizzati in orizzontale. Non ha i capelli corti come nelle foto, ma rasati ai fianchi del capo e lunghi sopra, ben pettinati… La sua pelle è bianca, ma non così chiara come si sarebbe aspettata.
Lei è titubante, lui invece avanza con passo sicuro.
L’uomo si ferma innanzi a lei, si aggiusta gli occhialetti sul naso:
-“Ciao Chantrea! Lo so, sono un po’ diverso dalle fotografie. Non penserai davvero che metta il mio vero viso in internet?! Tanto meno su un forum?!” la sua voce è calda, avvolgente.
Le sorride e Chantrea lo trova affascinante, ha un modo di farlo che non scopre totalmente i canini.
-“Sei tu Runos? Oh…! E’ bello conoscerti di persona” le batte troppo forte il cuore, deve calmarsi. Runos pare avvedersi della cosa.
-“Scusami! E? da tanto che aspetti… mm… andiamo in qualche locale a scaldarci, dopo il tramonto la temperatura cala rapidamente…”.
Lei gli è grata per la proposta e accetta il braccio che le porge. Assieme si avviano verso un locale in angolo alla piazza.
-“Chi era quel tipo con te?” gli chiede curiosa.
-“E’ uno che lavora per me…
-“Un maggiordomo?” fa lei scherzando.
Lui ride: -“Qualcosa del genere…”.

La serata procede veloce, Runos è molto espansivo e risponde volentieri alle molteplici domande che lei gli pone nella saletta appartata che lui ha prenotato. Runos ha insistito per offrirle la cena e non sembra badare a spese.
-“Così hai 251 anni?! Caspita! Te li porti bene! Considerando che non ne dimostri più di 25/30…”.
-“Uno dei vantaggi della mia situazione” le sorride.
-“E cosa fai per vivere? No! E? la domanda sbagliata” scoppia a ridere, lui si unisce a lei, avendo la cortesia di portarsi una mano alla bocca.
-“Intendevo… come ti mantieni?” ridacchia ancora sommessamente.
-“Faccio il chirurgo plastico!”.
Chantrea strabuzza gli occhi:-“Stai scherzando?!”.
-“No, non scherzo! Dico sul serio… Un particolare potere che possiedo mi consente di plasmare la carne… ne ho approfittato. Sono il migliore in quello che faccio, ma come lo faccio è un po’ complicato da spiegare, ci vuole molta organizzazione” risponde lui divertito.

Chantrea è affascinata, Runos è un essere legato alla terra, molto interessante: non invecchia, è virtualmente immortale, può comunicare con un ampia varietà di animali, può leggere l’aura e in alcuni casi i pensieri di chi lo circonda, è in grado di cambiare il suo aspetto e quello degli altri, non è costretto ad uccidere le sue fonti di nutrimento.
Chantrea e Runos passeggiano assieme per le strade di San Marino, ormai è notte inoltrata.
-“Cos’è per te essere un Vampiro? Torneresti indietro?” è la domanda fondamentale, lei aspettava di fargliela da tanto tempo. E’ felice si sia presentata l’occasione.
-“Se tornerei indietro?! Mai e poi mai… Essere un Vampiro è la libertà assoluta, da tutte le regole mortali e morali… Io posso fare ciò che mi aggrada nella società mortale, sono al di sopra delle leggi dell’uomo. Il limite… è la mia coscienza” Runos ha parlato in modo molto serio.
-“E’ stata molto dolorosa? La trasformazione intendo…”.
-“Quante domande!” fa lui divertito.
-“Come sei curiosa… All’inizio no, anzi è stato molto piacevole. Quando la mia madre-di-tenebra mi ha abbracciato dandomi il suo bacio oscuro, ho provato l’orgasmo mortale più intenso della mia vita”.
Runos si accorge di un velo di scetticismo sul volto di Chantrea.
-“No, dico sul serio! Prendi l’orgasmo migliore della tua vita e moltiplicalo per 100, e capirai cosa si prova quando si riceve il bacio. Alcuni mortali ne diventano dipendenti, un po’ come gli eroinomani. Comunque…! Moltiplicalo per 1000, e avrai solo una vaghissima idea di ciò che proviamo noi Vampiri nel darlo”. Chantrea sente che non gli sta mentendo.
-“Ma poi sì che è stato doloroso, il mio corpo ha cominciato a morire e ci ha tenuto un’intera notte. Ma era un dolore diverso… le nostre sensazioni sono più fini, ma ci consentono anche di sentire in modo più distaccato”.
Chantrea si ferma sotto la luce di un lampione e si volta a fronteggiare Runos.
-“Il tuo mondo mi affascina Runos! Se non fossi uno spirito libero, verrei via con te… ma non voglio sentirmi troppo legata”.
Runos la osserva, il suo viso è serio e tirato, lei vorrebbe vedergli gli occhi dietro le lenti degli occhialetti, per leggergli l’anima.
-“non potrei mai renderti schiava… saresti mia… figlia…”.
Chantrea sta tremando, vorrebbe sentirsi più padrona di se. Sa che può fare solo una cosa ormai: scegliere… dopotutto non è sempre stato quello il motivo per cui lo aveva invitato…? Non era stato sempre per un motivo che sotto-sotto aveva frequentato il forum di Bourbon Street…?
Chantrea sceglie.
Solleva lentamente le braccia, portando le mani al viso di lui.
-“Runos Redflame…”. Gli sfila delicatamente gli occhiali e per la prima volta gli vede gli occhi: due rosse fiammelle danzano per qualche attimo nel fondo delle sue pupille poi si affievoliscono, mostrando il colore azzurro-grigio dell’iride.
-“Rossafiamma… sarei degna di essere tua figlia-di-tenebra?”.
Runos la guarda dritta negli occhi e lei vi legge una profonda solitudine, appena mitigata da una gran curiosità.
-“Io ti offro il mio sangue puro ed immacolato… non ho mai avuto figli… sarai la prima, l’unica…”.

Chantrea si guarda attorno, ma nella semioscurità non riesce a percepire che i nebbiosi contorni dei mobili. Lui l’ha guidata da una stanza all’altra senza problemi, vede sicuramente meglio di lei.
Ha percepito la presenza di altre persone nella casa, i servitori di lui, due… forse tre, ma che sono rimasti discretamente lontani.
L’ha fatta gentilmente sedere su di un comodissimo sofà, ma un velo di agitazione glielo fa appena intuire. Lo sente armeggiare con qualcosa… improvvisa una fiamma favilla nel buio prendendola di sorpresa e facendola sussultare: un cerino, avrebbe dovuto capirlo. Il viso di Runos è così bianco alla luce della candela che sta accendendo…
La stanza, ora illuminata da due candelabri, appare riccamente arredata in stile classico: un tavolino in cristallo, sorretto da una statua di marmo bianco raffigurante due cherubini, sta al centro su di un tappeto persiano ampio e pregiato, i cui disegni la ipnotizzano; ai lati dello squisito tavolino si trovano, uno di fronte all’altro, due raffinati sofà di pelle nera, su uno dei quali lui la fatta accomodare. Altri mobili di legno antico, sono sparsi con gusto a completare l’arredamento di quell’ampio salotto, ma l’attenzione di Chantrea è attratta da una grande specchiera barocca sul fondo della stanza: n’osserva le fini decorazioni in legno scuro, che disegnano mazzi di rose nella sua cornice scura. Gli specchi grandi l’hanno sempre messa a disagio, quello non fa differenza, per quanto n’apprezzi la bellezza.
-“Abiti qui?” chiede mentre lui sistema i candelabri.
-“No! È una delle case che uso saltuariamente, con i miei collaboratori. Da oggi in poi sarà a tua disposizione…
A Chantrea viene quasi un colpo: -“come?! Questa villetta?! Tutta per me?
-“Si, cosa pensavi? Di poter tornare a casa come se nulla fosse?” il tono le fa capire che non vuole essere offensivo, è conscio, lei sa già che quella notte la sua vita cambierà per sempre, probabilmente non rivedrà mai più i suoi famigliari.
-“Si… capisco…” un velo di tristezza la riempie.
Runos si avvicina, s’inginocchia innanzi a lei e le prende le mani.
-“Chan… non sei obbligata, puoi ancora tirarti indietro, prenderti il tempo per sistemare le cose, quelle che si possono sistemare…”.
Vede preoccupazione nei suoi occhi, e nella sua anima amore per lei, per la figlia che sta per diventare.
-“Oh! Il mio padre dagli occhi di fiamma… sono pronta! Voglio essere tua figlia. Cosa potrei risolvere con qualche giorno? O qualche mese? Non posso certo dire a mia madre: non mi vedrai più, perché diventerò una vampira… No! Sarai tu d’ora in poi a mia famiglia”.
Fierezza negli occhi di Runos.
-“E sia… ti amo Chantrea! Sei una magnifica ed affascinante strega mortale. Da vampira non potrai che essere ancora più stupenda e conturbante… la mia oscura ed ammaliatrice figlia-di-tenebra”.
Runos solleva una mano e delicatamente le carezza una guancia e sale a scostarle un ciuffo di capelli. Chantrea gradisce quel gesto e un brivido le percorre la pelle, al pensiero della situazione preda-predatore nella quale si trova, una sensazione piacevolmente eccitante. Si ritrova a baciarlo, senza accorgersene, senza rifletterci… dopotutto… che male c’è?
Scosta le sue labbra dalle sue, rossa in viso per l’emozione. Lui le sorride amorevolmente.
-“Non posso darti l’abbraccio così, devi spogliarti e lasciare le tue vesti da parte…
Lei lo guarda divertita ed un po’ imbarazzata al pensiero di star nuda davanti a lui.
-“Perché devo spogliarmi nuda?
-“Non pensar male, è una mera questione pratica… dopo l’abbraccio il tuo corpo morirà e rilascerà tutte quelle sostanze che non gli sono più utili. Avrai anche l’ultimo mestruo della tua vita. Quelli che indossi sono gli unici abiti femminili della casa, potresti averne bisogno domani”.
Chantrea trova sensata la cosa.
-“Ti ho preparato una mantella di seta, se vuoi coprirti… Ti assicuro che dopo stasera non avrai più gli stessi intralci di pudicizia, ti sarà chiara la particolare sessualità di noi vampiri, e star nuda innanzi a me o a chiunque altro, non ti creerà nessun problema”.

Chantrea si spoglia, resta titubante… poi si decide, toglie il reggiseno e le mutandine. Si sente coraggiosa e ardita, ma è anche grata che lui, educatamente, le dia di spalle guardando fuori dalla finestra. Afferra la mantella e la indossa, beandosi della freschezza dell’abbraccio che gli dona la seta sulla pelle… brividi di piacere.
Chantrea guarda nella grande specchiera mentre sta per fissare i lacci della mantella attorno al collo, ma si ferma: osserva se stessa. Si osserva divertita e maliziosa: -“chi se ne frega!” mormora sorridente. Si sfila la mantella restando nuda, vestita solo del suo amato pentacolo…
-“Sono pronta padre!” sorride.
Runos si volta e resta stupito da quanto è ardita la sua figlioletta, poi vede il pentacolo.
-“Il pentacolo! Devi togliere anche quello”.
-“Perché? La catenina ti può infastidire mentre mi mordi?” chiede innocentemente.
Lui le sorride, un sorriso cordiale illuminato dalle candele, mentre la osserva. Chantrea comincia a pensare di esser stata troppo azzardata e prova una punta d’imbarazzo nell’esser nuda. Lui se n’avvede e si affretta a risponderle.
-“Il vero problema Chantrea è che… è un simbolo sacro, almeno per te… lascia che ti spieghi: il pentacolo, come la croce o qualsiasi altro simbolo, non può farmi alcun male, ma i mortali tendono inconsciamente ad incanalarvi le proprie energie mentali. Questo li rende, in alcuni casi, capaci di respingere i membri della mia specie. Se tu, durante l’abbraccio dovessi aver paura, potresti, senza volerlo, allontanarmi e mettermi nell’impossibilità di non farti morire dissanguata. La cosa diventerebbe… spiacevole” il suo volto è rattristato.
-“Capisco, anche se mi spiace toglierlo…”.
-“Lo so! Percepisco il potere che vi si accumula grazie a te… non ti preoccupare, lo indosserai dopo la trasformazione”.
Chantrea si sfila delicatamente il prezioso amuleto e lo posa sul cristallo lucido del tavolino… ora è completamente nuda.
Runos si scosta dalla finestra alla quale dava le spalle, si porta presso il sofà, sedendosi a gambe larghe.
-“Vieni mio tesoro… siediti tra le mie gambe e poggia la tua esile schiena contro il mio petto… non ti resta che rilassarti”.
-“E’ fatta!” pensa Chantrea. –“
Ecco che lascio per sempre la mia mortalità…”.
Si siede come le ha indicato lui, sente il suo petto contro la schiena ed è agitatissima, a dispetto di quanto vorrebbe rilassarsi. Dopotutto non le capita esattamente tutti i giorni di sedersi tra le gambe di un uomo (un affascinante vampiro) tutta nuda.
-“Ascoltami Chantrea… osserva la luce di quella candela” solleva una mano puntando il dito ad indicargliela. –“Concentrati su di essa e rilassati…” la sua voce è suadente, premurosa ed ipnotica. Chantrea si rilassa completamente tra le sue braccia, sente la piacevole morbidezza delle sue labbra sfiorargli quella superficie della pelle appena sotto l’orecchio, trasmettendole un brivido mentre la bacia leggero. Le mani di lui sono delicatamente poggiate sui fianchi di lei, le sue dita premono leggere e ritmiche, producendo un massaggio delicato, ma che accompagnato ai suoi baci la stanno eccitando. Chantrea sente tendersi la pelle dei suoi seni.
I baci di Runos si fanno più intensi e calano più in basso, lungo il suo collo. La mordicchia, come farebbe un mortale, ma lei percepisce i suoi canini che le trasmettono una scossa a tutto il corpo… ora è davvero eccitata. Per la Dea! Vorrebbe sentire le mani di lui sui suoi seni.
Il morso arriva improvviso, profondo, squassante… come l’orgasmo che ne segue, mentale e fisico (è lei che sta urlando?).
Chantrea comincia a vagare in un’overdose di piacere sensoriale… sta volando nei cieli più alti ed infiniti che siano consentiti ai comuni mortali… il tempo non esiste più.

Torna, poco a poco, alla coscienza di se, seppur il piacere continui ad inondarla a pause regolari, ritmiche come lo sciabordio delle onde di un mare meraviglioso ed infinito, gli intervalli tra un risucchio e l’altro che Runos compie dal suo collo.
Non ricorda quando lo ha fatto, ha preso le mani di lui e se le è strette ai seni… non importa, è troppo stanca per importarle. Lentamente un velo grigio le si stende innanzi agli occhi. Ha una gran sete… La luce della candela si fa sempre più fioca… d’improvviso invece si fa nuova, lucente… anzi, diviene sempre più splendente. Non solo la candela, ma tutto sta diventando più intenso come fosse animato di luce propria: la fiamma sta danzando per lei, il cristallo emana riflessi impossibili in un arcobaleno nuovo, i cherubini sembrano sorriderle.
Un miele, un’ambrosia dolce, un orgasmo liquido le sta inondando la bocca colmandola di sensazioni nuove. Chantrea si rende conto che sta bevendo, sta succhiando dal polso di Runos… ed è avida e famelica di ciò che n’esce. Sta bevendo il sangue che lui le a preso e che ora le restituisce mescolato al suo, e non prova nessun ribrezzo, tutt’altro, è il Sacro Graal, è la fonte degli Dei. Vede posti… volti… e cose collegate a Runos, anche se non sa come possa saperlo.
-“Basta Chantrea…! O mi ucciderai…!” la sua voce è affaticata, è stato provato dallo stesso piacere di lei?
-“E’ tutto finito per ora…” le dice mentre scosta il braccio dalla sua bocca. Lei lo rilascia malvolentieri.
-“Ma lo riproverai per l’eternità… e non ti verrà mai a noia, te lo assicuro”.
Chantrea annuisce un poco intontita, mentre si passa la lingua sulle labbra per prelevarne le ultime gocce di sangue. Fatica a mantenere la concentrazione, un mondo nuovo la circonda e tutto gioca a distrarla.
-Ora ti porterò in giardino, ove ti libererai pian piano di tutto il superfluo. Sarà doloroso, ma ti starò accanto, e ti darò ancora un po’ del mio sangue per alleviarlo… Verso l’alba ti porterò dentro e ti laverò. Guarda! Il tuo corpo sta già cambiando, segno che tutto è stato fatto come doveva ed il mio sangue potente è attecchito in te. Vai allo specchio…”.
Chantrea si alza ed incuriosita si porta allo specchio, ove resta stupita dei cambiamenti che già ha subito il suo corpo: i suoi fianchi sono più modellati, il suo ventre è più piatto, i suoi seni più pieni e alti, il suo viso più perfetto. È bellissima… lei, piccolo elfo che si rimira allo specchio.
Lui aveva ragione, non è più un problema la sua nudità, nessun rimorso o vergogna mortali la toccano più.
Runos le poggia amorevolmente la mantella sulle spalle, lei resta stupita di quanto più intense e diverse siano le sensazioni che le trasmette ora la seta.
-“Dove dormiremo, padre?”.
-“Nella villetta c’è una panic room, una stanza blindata indipendente dal resto della casa, apribile e chiudibile solo dall’interno. Ne ho una in ogni casa”. Chantrea si domanda quante case possieda il suo amico e padre…
-“Andiamo, tra poco comincerai a morire… Benvenuta nella notte, Chantrea Leaena Redflame! Principessa delle tenebre…

FINE

giovedì 5 aprile 2007

Giornata afosa

L’afa si distende sulla città come se fosse qualcosa di vivo e palpabile, l’asfalto, simile a lava sonnacchiosa fuma dando l’illusione ottica d’esser bagnato. Nell’aria, carica d’ozono, si sente solo il rombo dei motori accesi al minimo, sottolineato saltuariamente da colpi di clacson simili al gorgoglio d’un animale morente. Nel traffico imbottigliato e caotico, tra le vetture ferme, nessuno fa caso all’auto nera, nessuno bada al suo conducente, tutti troppo impegnati a rubarsi a vicenda le poche molecole d’ossigeno, altri, pochi fortunati, trincerati dietro i vetri con l’aria condizionata al massimo.

Il conducente dell’auto nera, accomodato nell’ampio abitacolo, solleva un telecomando ed aziona il televisore incastonato nel cruscotto. Il telegiornale irrompe nell’abitacolo del veicolo con le sue storie di cruda realtà, narrate ed addolcite dalla rassicurante figura di un uomo in doppiopetto scuro dagli occhi azzurri e la mascella accattivante che duetta con una bionda “fidanzatina d’America”.

-…lasciando tutti senza fiato. Ma veniamo alle notizie di cronaca, Samantha!

La giornalista ammicca e sorride per un attimo mentre ringrazia il collega, ed assume poi immediatamente il viso truce da cattive notizie che è tanto brava a fare.

-Grazie Jim! Terribile sparatoria pochi minuti fa tra la polizia ed un commando di malviventi armati pesantemente all’esterno della National Bank. I malviventi avevano appena ultimato di rapinare la banca, ma, invece di darsi immediatamente alla fuga, hanno atteso sul piazzale esterno l’arrivo delle pattuglie della polizia sulle quali hanno cominciato a scaricare un’incredibile quantità di proiettili e granate costringendo alla fuga le forze dell’ordine. A te Jim!


Anche l’uomo sorride alla collega, più un atto di cortesia che vera gratitudine, si vede chiaramente che non la sopporta.

-Grazie Samantha! Continuano gli atti vandalici da parte di teppisti minorenni nei quartieri residenziali ove vengono ogni volta rinvenute scritte oltraggiose indirizzate alle forze dell’ordine e al protettore della città.

L’uomo fa una breve pausa riflessiva poi torna a leggere le notizie.

-Clamoroso, ci avvisano dalla regia che è appena avvenuto l’ennesimo attentato terroristico nel quartiere tra la settima e l’ottava, in pieno centro alla città! Ennesimo attacco con uno strano gas esilarante che porta le vittime a morire in brevi istanti squassate da convulsioni terribili! Ci giunge notizia che il terribile gas sarebbe stato sparso con l’utilizzo di granate dall’attentatore che si firma con il Jolly delle carte da poker e che in barba a qualsiasi tentativo di catturarlo semina morte e terrore in tutta la città!

L’annunciatore guarda fissa la telecamera con aria sdegnata, è chiaro che ha qualcuno da incolpare di tutto quello che ha appena annunciato.

-La domanda sorge spontanea nel mezzo di questo caos: dove?! Dov’è BATMAN?!

Un tasto del telecomando viene premuto, il televisore si spegne con un lieve rumore. Nessuno nota la potente macchina nera con il muso a pochi millimetri dalla fiat 500 che la precede, il sedere dal potente bruciatore che cozza contro il paraurti di una fiat panda bianca, con alla guida una massaia con i bigodini in testa.

L’uomo pipistrello sbuffa spazientito mentre si sistema la calzamaglia stropicciata sotto il sedere.

-Dannato traffico…

Cammina silenzioso e fluido.

Cammino silenzioso e fluido, tranquillo eppur guardingo… so bene che in giro ci sono cose peggiori di me. Stringo gli occhi gialli, quasi a voler meglio osservare l’ambiente. Il sole è calato da più di un’ora ormai, ma non ho difficoltà a muovermi nel buio che mi circonda.

Non ho nulla da fare questa notte, ma Redflame mi ha detto di non allontanarmi troppo e per quanto mi piaccia disubbidirgli so che è meglio non innervosirlo troppo.

Le luci dei neon della città sono sempre fonte di meraviglia per me, come la gente che passeggia noncurante, all’oscuro della mia presenza. Sono furbo, nessun uomo è in grado di accorgersi di me che mi muovo ai margini del campo visivo, sempre nell’ombra, defilato.

A volte mi piace entrare nelle case della gente, spiarli a loro insaputa, guardare le loro cose. Una volta mi fermai in una casa per una settimana, senza che nessuno degli occupanti si accorgesse di me.

Il sangue di Redflame scorre forte dentro di me e acutizza tutti i miei sensi che già erano fini per natura. Voglio un gran bene a Redflame, è sempre così attento con me, così affettuoso.

Mi fermo sul ciglio di un marciapiede, quasi poggiato al muro, osservo le macchine che passano incessanti lungo la strada.

-“Ehi! Guarda la! Che facciamo?! Guarda come è tranquillo!”. Qualcuno si è accorto di me.

Mi volto e osservo un gruppetto di Punk fermi a pochi metri da me, li guardo con noncuranza. Quello che ha parlato è probabilmente il loro capo, non avrà più di 16 anni e con la vistosa cresta di capelli color rosso acceso, raggiunge a malapena il metro e settanta.

Il ragazzo raccoglie un sasso da terra e lo scaglia nella mia direzione, nemmeno mi sposto, andrà a vuoto… Il resto del gruppetto raccoglie ciò che capita: sassi, cocci di vetro… e li passano al loro capo.

-“Che faccia tosta! Nemmeno si sposta! …EHI, PICCOLO BASTARDO!”. E’ ferocia ciò che leggo sui loro volti?!

Un coccio di vetro parte nella mia direzione, lo schivo facilmente con un balzo leggero e una volta atterrato comincio a guardare il ragazzino con aria di sfida. I miei occhi sembrano dire: "Avanti… fatti sotto!!!". Il Punk sembra averlo capito, la rabbia gli arrossa il viso, mentre avanza verso di me, estraendo una sbarra di ferro dallo zainetto logoro che porta sulle spalle.

-“Bastardello! Ti faccio cagare le budella! Non scappi e?!”.

Si è avvicinato quanto basta, alza al cielo la sbarra, non la calerà mai in tempo…

Mi allontano, la banda lo soccorre a terra mentre stringe le mani al volto sanguinante e urla di dolore, gli ho dato un assaggio dei miei artigli… non lo dimenticherà molto facilmente… sogghigno tra me e me mentre scrollo gli artigli dai quali ancora penzola l’occhio del Punk.

Mi infilo in un vicolo scuro, più per noia che per altro, presto sarà ora di tornare, Redflame potrebbe esser in pensiero. Il vicolo appare tetro e ingombro di cianfrusaglie: cataste di legna, bidoni di metallo e immondizia. Ratti di fogna zampettano qua e la e mi osservano con attenzione, non sono un problema.

Mi fermo ad osservare una strana scritta in vernice fluorescente su un muro: “LESTAT LIVE!”. Sembra scritta con il sangue. Sorrido tra me, chiunque l’abbia scritto probabilmente non sa quanto tale affermazione sia vicina alla verità.

Vengo colto da una sensazione di pericolo, non mi capita spesso… mi celo ancora di più nel buio del vicolo e avanzo tra le casse sparse senza far rumore.

Sento qualcuno ansimare e un risucchio, lento e inesorabile. Poi lo vedo, curvo sopra il corpo di una ragazza, un vampiro… ma non come quelli che ho visto sino ad ora, è diverso, mostruoso: vedo la sua testa da dietro, è calva e grigiastra, solcata dal violetto di mille vene e capillari, le orecchie sono a punta, deformi e allungate verso l’esterno, veste con un cappotto nero e logoro; appare nell’insieme semplicemente raccapricciante. Non è come Redflame, lui somiglia ad un angelo caduto tanto è sovrannaturale la sua bellezza, questo è un demone dell’inferno. Ha il viso immerso nel collo di una ragazza e i capelli tinti di rosso e nero di lei gli circondano completamente il capo. Lei è sorretta dalle braccia forti di lui, i suoi occhi sono spalancati e vitrei, la sua bocca semi aperta, ansima ad ogni risucchio del mostro. Non posso fare nulla per lei, come non posso far nulla per le migliaia di vittime di Redflame… posso solo guardare la morte che cala su di lei.

D’improvviso il mostro si accorge di me, ha finito il suo pasto. Molla di colpo il corpo della ragazza che cade a terra con un tonfo sordo, rumore di stracci bagnati che cadono a terra.

Il mostro è peggio di quanto credessi: placche ossee sottolineano gli occhi e gli zigomi, il naso non esiste più, dove stava la bocca ora vi è un buco nero solcato da file di denti da squalo famelico. Ringhia verso di me ma non sembra voler attaccare. Forse è il caso di allontanarsi, Redflame mi attende. Lascio rapido il vicolo, incurante di quello che vi avverrà da qui all’eternità. Sento il richiamo del mio signore, Redflame mi chiama.

Raggiungo velocemente il “Moon Over Bourbon Street”, il locale di Redflame, il Gorilla all’entrata mi riconosce in un attimo e spalanca la porta perché possa passare. Dentro c’è ressa come sempre, passo accanto al Lasombra amico del mio Signore, sembra un poco infastidito dalla mia presenza, mi prede per la collottola e mi solleva, mi porta faccia a faccia.

-“E tu che ci fai qui?! Redflame non sarà felice che sei uscito di nuovo!”.

Resto calmo, non mi vuole fare del male, anche se a volte mi stuzzica con le sue ombre. Fortunatamente con lui c’è la sua adorabile figlia, Elowyn.

-“Lascialo in pace padre! E’ tanto carino!

Juan Maria De La Cruz sbuffa ma molla la presa. Tocco terra leggero e svicolo fino all’entrata per il sotterraneo ove la porta viene subito aperta.

Raggiungo il vero cuore del Moon Over Bourbon Street, l’Elysium.

Redflame, il mio adorato padrone siede su un divano di velluto rosso e mi attende. Salto sulle sue ginocchia e mi lascio accarezzare mentre erompo in una sinfonia di fusa.

-“Cagliostro! Sei uscito di nuovo… Canaglia!”. Redflame accarezza il grosso gatto selvatico dal pelo rosso tigrato.

-“Una di queste notti ti metterai nei guai, piccolo demonio!”.

Redflame si taglia un dito e una piccola quantità del suo sangue sgorga in superficie, l’ho visto fare un mucchio di volte, non mi faccio pregare, è arrivata la cena.