-Pendici dell’Everest, Campo Base Internazionale-
-Il tetto del mondo! Non è una vista che toglie il fiato?
Tom Everwood non vorrebbe essere in nessun altro luogo, per lui è la realizzazione di un sogno. La pensa diversamente il suo amico Sam Barwell.
-Non è solo il panorama che toglie il fiato, Tom. Mi sto gelando ogni appendice del corpo, zone che non pensavo nemmeno potessero congelarsi.
Accompagnare Tom nella sua escursione sull’Everest era sembrato divertente per un po’, almeno finché Sam non si era ritrovato veramente in viaggio grazie alla vincita alla lotteria del suo amico d’infanzia.
-Sei diventato davvero lamentoso, insomma Sam, quando ti sarebbe capitata un’occasione del genere? Sei nato a Sprinfield e ci saresti vissuto e morto senza vedere nient’altro che quella cittadina! Sei nel mondo Sam! E dopo l’escursione di domani potrai dire di aver vissuto, potrai raccontare di esser stato sull’Everest!
Tom Everwood era nato a Springfield, USA, trentadue anni prima da una modesta famiglia di provincia, era diventato operaio nella stessa fabbrica metalmeccanica del padre ed aveva sempre coltivato l’hobby della scalata con alcuni amici d’infanzia: Samuel Barwell e Nicolas Fannucci. Il suo sogno era sempre stato quello di scalare l’Everest; non si aspettava certo di poter arrivare alla vetta, sapeva di non aver la preparazione per farlo, poi un giorno aveva avuto la svolta della vita, aveva vinto alla lotteria nazionale ed ora era milionario. La prima cosa che aveva fatto, ormai quattordici mesi fa, era stato organizzare un’escursione sull’Everest, un’arrampicata tra il campo base sino al campo intermedio che veniva allestito solamente durante il periodo estivo. Per la sua “scampagnata” naturalmente aveva voluto i suoi compagni d’escursione della domenica, Sam e Nic. I due avevano accettato con entusiasmo, probabilmente convinti che tutto sarebbe naufragato nella burrasca della nuova vita di Tom. Così non era stato ed ora si trovavano alle pendici del Tetto del Mondo. Nic era ancora entusiasta, come Tom ma l’entusiasmo di Sam invece si era spento velocemente, proprio non sopportava il freddo di quella regione e la sua adesione alle arrampicate domenicali era sempre stato una specie di ripiego, un modo per non restare a casa con la moglie.
-Non sono lamentoso! Ho solo freddo!
-Bhè! Tanto è tardi e domattina si parte per il campo intermedio, meglio andare in tenda a dormire. Così ti scaldi.
-Si, meglio andare in tenda!
I due si salutarono e Sam scomparve immediatamente nella sua tenda, sottolineando i suoi passi con un mormorio sommesso ma incessante. Tom fece invece un giro largo, salutando tutti quelli che incontrava, tutti professionisti, tutta gente che della montagna aveva fatto la sua vita. Tom li conosceva tutti per fama, li ammirava tutti quanti. Arrivò alla tenda medica ed entrò, fece un cenno all’infermiere indiano che dopo aver risposto al saluto, s’immerse di nuovo nel suo cruciverba. Tom faceva visita a Nicolas, l’amico si era ammalato poco dopo esser giunti al campo base, semplice influenza ma abbastanza da impedirgli di compiere l’escursione. Nic non lo dava a vedere ma era furente: arrivare a due passi dall’inizio dell’avventura e dover rinunciare. Ciò che lo faceva imbestialire di più era il fatto che Sam, a differenza sua, stava benissimo e nemmeno voleva trovarsi li.
-Come stai questa sera? Qualche miglioramento?
-Si, va benissimo, ho solo perso l’occasione della mia vita! La solita botta di culo!
A Tom dispiaceva enormemente per l’amico.
-Lo rifaremo l’anno prossimo e ci verremo solo io e te. Magari due bionde svedesi!
Tom fece l’occhiolino all’amico.
-Guarda che ci conto!
-Nic, ora ho abbastanza soldi per venirci tutte le estati per i prossimi trent’anni, se ti dico che ci torniamo l’anno prossimo ci puoi contare!
I due restarono a chiacchierare per un’altra mezzora poi si salutarono e Tom si diresse alla sua tenda. Si era già fatto buio ma non era tardi. Alcuni degli escursionisti erano riuniti attorno ad un grosso falò, ove intonavano canzoni evergreen. Tom si stese nella tenda, troppo eccitato per dormire ma conscio che doveva riposare, avrebbe dovuto essere in forze per la mattinata. Si era coricato da quasi un’ora, si stava addormentando, quando successe una cosa stranissima: Tom ebbe un tuffo al cuore, ebbe per un attimo la sensazione di cadere e poi senti di essersi spostato verso destra di una ventina di centimetri. La cosa strana era che sembrava che tutta la tenda e il terreno sotto di essa avesse fatto il movimento con lui. Tom Everwood aveva la nausea, riuscì in qualche modo ad aprire la tenda prima di vomitare. Ripresosi vide che tutto il Campo Base era nelle sue stesse condizioni, qualcuno, Sam in testa, non era stato abbastanza veloce ad aprire la tenda ed ora si sentivano bestemmie in quattro lingue differenti rincorrersi lungo l’accampamento. Ciò che nessuno sospettava era che la medesima sensazione era stata avvertita su tutto il pianeta.
Si alzò un vento improvviso e il cielo si tinse di un violaceo minaccioso solcato da bagliori argentei. Il vento divenne forte e cambiava direzione repentinamente, la sensazione era quella che qualcuno ti strattonasse e spingesse in varie direzioni, molti rovinavano a terra impotenti. Le urla vennero sopraffatte da un rombo sordo. Tutti si trovarono a perdere l’equilibrio in quanto la terra sotto di loro si mise a salire verso l’alto. La sensazione fu quella di trovarsi su di un’enorme padella che dava colpi verso l’alto come per rovesciare una frittata. Tutto sembrò durare per ore, in realtà fu solo una mezzora.
All’alba, gli occupanti del Campo Base dell’Everest poterono constatare che vi erano state numerose frane, una delle quali li aveva sfiorati di una ventina di metri. Constatarono anche che gran parte del paesaggio era cambiato e le vette che li circondavano apparivano più alte e minacciose. L’aria era più rarefatta, tutti se ne accorsero, sembrava fossero saliti di almeno cinquecento metri sul livello del mare ma non ci fu modo di accertare quest’eventualità in quanto nessuna apparecchiatura elettronica del Campo base, compresi i rilevatori GPS, davano segni di vita. Nessun computer, nessuna radio o telefono satellitare, nulla di elettronico funzionava più, nemmeno le batterie segnalavano la carica. L’elicottero militare del campo era inservibile. Fortunatamente i gruppi elettrogeni a benzina continuarono a riscaldare la tenda comune e l’infermeria.
-Ascoltatemi tutti!
Il Colonnello Singh Gill Kalni dell’esercito indiano era a capo del Campo base.
-Qualsiasi cosa sia successa deve aver compromesso le comunicazioni in tutta la zona. Deve esserci stata una serie di terremoti devastanti in tutta l’Asia, probabilmente siamo vivi per miracolo. Suggerisco di lasciare il Campo Base e tornare a valle dove potremo chiedere aiuto per i feriti.
Il Colonnello era visibilmente preoccupato, aveva sicuramente una famiglia a cui tornare.
Varie teorie serpeggiarono per il Campo Base, qualcuno diceva che doveva esserci stato qualche esperimento nucleare segreto in India o in Pakistan o magari in Cina, qualcosa era andato storto sicuramente, per questo le apparecchiature elettroniche non funzionavano più. Altri dicevano che forse era un cataclisma naturale rarissimo.
Tom si preparava a scendere a valle, non pensava più al sogno della sua vita, voleva solo uscire da quella situazione. Sentì ancora di più il peso della malattia di Nicolas, non voleva abbandonare l’amico ma sapeva che poteva aggravarsi ed allora era meglio tornare con un elicottero a prenderlo e riportarlo alla civiltà. Sam Barwell, dal canto suo, aveva smesso di lamentarsi, sentiva di esser stato un gran fortunato a sopravvivere e più d’ogni altra cosa voleva lasciare quel posto e tornare alla sua insignificante vita a Springfield.
La Metà degli escursionisti del Campo Base partirono per la discesa, tra di loro Tom e Sam. Scesi per un centinaio di metri dal campo base si trovarono in uno strano avvallamento. Gli Sherpa non riconoscevano la zona, non conoscevano il paesaggio attorno a loro. L’avvallamento era quasi totalmente sgombro dalla neve, come se fosse naturalmente protetto dai venti. Al centro dell’avvallamento, contro le pendici della montagna si apriva l’antro di una caverna di grosse dimensioni. Tom sentì le guide parlare in uno stentato inglese e farfugliare che quell’avvallamento non c’era mai stato, doveva essersi creato a seguito del cataclisma. Tom si guardò attorno ma non vide traccia di frane, o spaccature, quella grotta sembrava esser li da quando esisteva il mondo.
-Ma insomma Tom, che stiamo aspettando? Perché non si prosegue?
Sam s’inciampò su una sporgenza, cadendo dietro ad una piccola cunetta. Tutti si voltarono nella sua direzione. Tom salì sulla cunetta per soccorrere l’amico imprecante e si accorse su cosa era caduto.
-Sam! Sei finito su di uno scheletro d’animale!
-Ma di che diavolo stai parlando?
Sam si guardò attorno constatando di esser circondato da ossa bianche di un qualche animale, alcune delle quali si erano sgretolate sotto di lui.
-Accidenti! Sembrano molto vecchie, si sgretolano facilmente tra le dita.
Gli altri membri del gruppo accorsero, Adolf Kramer, a capo della squadra di discesa, parlò con un marcato accento tedesco.
-Dovete stare più attenti! Accidenti, sono ossa quelle?
-Guardate! Ce ne sono altre laggiù!
-Ce ne sono disseminate ovunque!
Ormai un po’ tutti avevano individuato resti d’ossa animali, avanzando verso la grotta si trovarono innanzi ad i resti dello scheletro di un grosso mammifero: tutti pensarono immediatamente e all’unisono alla parola Mammuth. In realtà non vi era tutto lo scheletro ma solo parte del tronco anteriore dell’animale e mezzo cranio ma tutti avevano immediatamente capito che animale fosse, le lunghe zanne ricurve erano inconfondibili.
Kramer cominciò a sottolineare che era una scoperta incredibile e bisognava immediatamente picchettare la zona per le escursioni scientifiche successive e cominciò a discutere animosamente con i capi delle altre squadre che si erano unite alla sua riguardo la paternità della scoperta.
A Tom quelle questioni non interessavano, pensava che probabilmente il viaggio sino all’Everest non era stato totalmente inutile, dopotutto aveva contribuito alla scoperta di quel reperto preistorico ed avrebbe fatto parte del gruppo immortalato da una bella fotografia ricordo. Gli passarono per la testa un paio d’idee, sovvenzionare la successiva spedizione scientifica e quindi restare al corrente di tutte le scoperte in merito. Tom si avviò in direzione dell’enorme volta della caverna, il cui interno era in ombra e quindi si perdeva rapidamente nell’oscurità.
-Accidenti, è davvero enorme! Sembra improbabile che sia stata nascosta dalla neve sino alla notte scorsa. Senza contare che: dove diavolo è finita la neve che l’ostruiva?
Le urla dei capi squadra si stavano facendo fastidiose e il tono sempre più alto. Sam Barwell ne aveva davvero piene le scatole di quella vacanza e di quelle inutili chiacchiere, si voltò dall’imboccatura della grotta e urlò in direzione dei litiganti.
-MA LA VOLETE PIANTARE?!
Tutti si zittirono all’unisono, non per il rimprovero di Sam ma per un cupo e minaccioso brontolio che fuoriuscì dall’antro alle sue spalle e che impietrì anche lui.
Samuel Barwell non seppe mai cosa lo uccise, morì d’improvviso, il dolore sconfinò immediatamente nella morte quando un enorme drago che sembrava fatto di ghiaccio sbucò dalle sue spalle inghiottendolo immediatamente. I visi di tutti i presenti erano occupati da un misto di stupore e terrore. Il drago era gigantesco, sembrava esser fatto di diamante e ghiaccio e si reggeva su quattro zampe artigliate. Si getto con un ruggito sul gruppo di escursionisti e nel farlo calpestò uccidendolo un atterrito e sotto shock Tom Everwood. Divorò a manciate i componenti del gruppo e poi vedendone scappare una parte, prese fiato e scaricò dalla bocca un’esalazione che sembrò fatta di bufera. Tutto ciò che fu investito da quell’esalazione ghiacciò all’istante, compresi tutti i fuggitivi. Il Drago, rabbioso per esser stato disturbato nella sua tana, individuò il campo base un centinaio di metri sopra il suo avvallamento. Spiegò le sue ali che parevano di vetro e cavalcando le correnti fredde salì a cancellare per sempre quell’invasione del suo territorio.